Dal fast food al fast fashion
Non ho niente da mettere! Quante volte, soprattutto il gentil sesso, lo dice davanti a un armadio rigonfio di capi.
Un tempo la moda era appannaggio di pochi, esclusiva delle classi più abbienti. L'introduzione del pret à porter, che rivisita, in versione economica, indumenti di lusso e modelli di alta moda, ha rivoluzionato il mercato.
Con il pret-à-porter i capi alla moda sono entrati negli armadi di tutti. E fino a qui nulla di negativo, eccetto l’aver avviato un business milionario, che fa gola a molti, compresi imprenditori senza scrupoli, con conseguenze ambientali devastanti che non possiamo ignorare.
Come l'alimentazione è stata contaminata dal fast food, anche la moda è stravolta dal fast fashion.
Pare che la parola “fast” davanti ai due sostantivi, assuma una connotazione negativa, il cui significato letterale “veloce” prende l’accezione di “spazzatura”.
Chi produce in maniera sostenibile propone due collezioni all'anno, primavera-estate e autunno-inverno, mentre le aziende del fast fashion arrivano a produrre anche 52 collezioni, una a settimana.
Il fast fashion si basa sulla creazione di grandi quantità di abbigliamento economico e di bassa qualità. Questo modello comporta cicli di produzione veloci e il ricorso a materiali e processi di fabbricazione non sostenibili.
Le conseguenze ambientali del fast fashion sono allarmanti. La produzione su larga scala richiede l'uso intensivo di risorse naturali come l'acqua e l'energia, oltre a generare enormi quantità di rifiuti tessili e inquinanti. Inoltre, i materiali utilizzati sono nocivi per l'ambiente a causa dei processi di lavorazione chimici e delle fibre sintetiche non biodegradabili.
Per ridurre l'impatto ambientale del settore della moda, è importante adottare pratiche più sostenibili come la realizzazione di capi di abbigliamento di alta qualità destinati a durare nel tempo, l'uso di materiali riciclati e biologici, e l'adozione di processi di produzione più efficienti e a basso impatto ambientale.
Maria Teresa Accardo